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Violenza contro le donne: una responsabilità anche aziendale 

5 consigli pratici per affrontare la violenza in azienda 

CoachTania

– CoachTania – 

Psicologa, Mental Green Coach, Esperta di crescita, carriera, e leadership sostenibile. 

donna responsabilità

Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo articolo.

Da psicologa, coach, professionista HR, ma soprattutto da donna che ha attraversato in prima persona la violenza, si tratta di un tema che mi tocca profondamente e da vicino, pertanto non lo affronto con mezze misure.

La cronaca è sempre più impietosa: non ne possiamo più di femminicidi, di storie di violenza, tutte caratterizzate dalla stessa narrazione, dagli stessi epiloghi. 

Io conosco bene quali trappole sappia creare la mente di una donna che è stata vittima e quanto tempo sia necessario per superarne tutte le vulnerabilità, visibili e invisibili. Ma in questo giorno, ufficializzato come Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, sento il dovere di fare la mia parte.

Lo sappiamo e se ne parla tanto: ogni anno milioni di donne sono vittime di violenza. Se ne parla, si discutono azioni, ma resta un fenomeno diffuso e radicato che affonda le sue radici nelle disparità di genere, nelle dinamiche di potere e, ahimè, nella cultura dei popoli. E alla cultura, lo sappiamo bene noi professionisti People, non si sottraggono neppure le aziende.

Le statistiche fotografano una realtà allarmante

Non solo la cronaca, ma anche i numeri ufficiali sconvolgono: già nel 2014 ISTAT ci informava che, in Italia, il 31,5% delle donne (quasi 7 milioni) tra i 16 e i 70 anni avesse subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Nel 2022, trentaduemila donne Italiane hanno contattato un centro antiviolenza, riportando episodi di violenza psicologica, minacce e, infine, violenza fisica. Sono qui conteggiati solo i casi noti, formalizzati e “ammessi o riconosciuti” dalle donne in questione, poiché hanno affrontato un percorso di accompagnamento per uscire dalla violenza.

Sembra un dettaglio, ma non lo è. La parte più difficile per una donna che subisce violenza, non è denunciare, ma, prima di tutto, ammettere e accettare che di violenza si sia trattato.

Spesso la violenza è subdola

Congelamento, dubbio, colpa, vergogna, sono solo alcune delle reazioni difensive che si attivano quando ci si trova a subire un evento che, spesso,  non si configura esattamente come nell’immaginario collettivo. Spesso, troppo spesso infatti, quegli eventi sono ambigui. È terrificante affrontare questa esperienza e consapevolezza quando l’aggressione segue chiaramente un copione da pellicola cinematografica (uomini cattivi, vicolo buio, grida e violenza lampante). Ma è altrettanto spaventoso quando la violenza si consuma in tutte quelle situazioni di ambivalenza, che sono più equivoche, meno evidenti, distanti dalla sceneggiatura del vicolo che noi tutti abbiamo in mente: sono quelle cose che accadono in famiglia, in ufficio, con persone di cui ci fidiamo. Gesti e parole che non sono immediatamente riconoscibili, etichettabili, eppure altrettanto dolorosi da gestire e accogliere. Tutte queste situazioni rendono quasi impossibile ammettere, anche a sé stesse, cosa sia realmente avvenuto: riconoscere di essere state vittime, perché dare il giusto nome alle cose è fondamentale. 

Secondo la nostra giurisprudenza è violenza l’uso di qualsiasi mezzo (verbale, emotivo, fisico) in grado di coartare la libertà morale di una persona. È invece violenza sessuale qualsiasi atto che riguardi parti intime del corpo della vittima, non espressamente richiesti  (inclusi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime). Brutale ma cristallino.

Come riconoscerla

È necessario un ampliamento della comprensione della violenza, anche per noi professionisti e società tutta, per saperla riconoscere e includere tutte le sue manifestazioni, anche quelle meno riconoscibili ma non per questo meno dannose. È nostro dovere ascoltare, validare e sostenere, senza pregiudizio chi si trova a dover affrontare questa dolorosa realizzazione. Ed è importante affrontare tutte le conseguenze morali, emotive, fisiche e psicologiche, senza se e senza ma.

La violenza si manifesta in molteplici forme e spesso segue un andamento ciclico noto come “Spirale della violenza”. Questo può (anche) includere isolamento, intimidazioni, minacce e aggressioni, alternati da periodi di pentimento e false riconciliazioni da parte dell’aggressore, specie se l’abuso avviene in famiglia. Ma la violenza ha così tante sfaccettature, e carnefici, e forme, che racchiuderle in una lista appare svilente, oltre che poco utile. Le conseguenze psicologiche per le vittime sono comunque e sempre gravi e includono (tra gli altri) perdita di fiducia e autostima, ansia, disperazione, disturbi del sonno e depressione.

5 consigli pratici per le aziende

Come possiamo aiutare le persone intorno a noi, nelle nostre aziende, colleghə vittime di violenza? Che si tratti di sostenere, fornire risorse o semplicemente ascoltare, ogni azione può fare la differenza:

1. Educare noi stessə ai segnali

ad esempio: notare cambi di comportamento, di atteggiamento, lesioni visibili o forzatamente coperte, o un aumento imprevisto dell’assenteismo in assenza di usuali giustificazioni. Non serve diffondere allarmismo, né nutrire una preventiva cultura della caccia al mostro, ma essere pronti a notare i segnali

    2. Promuovere politiche di zero tolleranza

    verso qualsiasi forma di violenza nel nostro ambiente lavorativo, che sia essa verbale, psicologica o espressa in qualsiasi altra possibile manifestazione. Azioni, reazioni e messaggi concreti, espliciti, e chiari: con la dovuta attenzione alla vittima, chi minimizza (“era solo una battuta”) o nasconde (“non serve alzare un polverone”) è complice

      3. Promuovere una cultura di ascolto

      incoraggiare e supportare chi cerca aiuto creando, prima di tutto, relazioni con le nostre persone, favorendo un ambiente e un clima di fiducia, supporto e comunicazione aperta. Concretizzare una cultura aziendale in cui le persone si sentano davvero libere di esprimere preoccupazioni riguardo a potenziali violenze, sia in azienda che fuori. Ricordare che siamo persone in una comunità, prima di tutto.

        4. Fornire supporto e risorse

        come strutturare o erogare un programma di formazione, assistenza o inserire professionisti dedicati all’ascolto, che offrano accoglienza, consulenza e supporto confidenziale, esperto e protetto. Coach, psicologi: siamo qui anche per questo! 

          5. Promuovere i servizi di aiuto

          prendere una posizione ufficiale, e diffondere informazioni su dove e come le vittime possono cercare aiuto, come il numero antiviolenza 1522 e il sito 1522.eu

            La responsabilità è di noi tuttə

            Per fare la nostra parte come colleghə e manager non servono strabilianti competenze da detective o vocazioni da Ghandi, non serve essere socialmente o politicamente impegnati. La nostra responsabilità, specie se manageriale, non si esaurisce nell’approvare un aumento, una richiesta di ferie o valutare la performance. Siamo noi, tuttə noi, a co-creare la nostra realtà e cultura aziendale. Basterebbe ricordarsi che dietro, anzi “dentro” il Job Title c’è sempre una persona; ed è importante dedicare spazio alla relazione, imparare a riconoscerci l’un l’altrə umanamente, a notare quando tutto va bene, ma anche quando qualcosa non va, a far sentire l’altrə vistə, come persona prima di tutto. Che poi, sotto sotto, è anche ciò che vorremmo per noi. No?

            È così folle immaginare che la realtà lavorativa possa diventare davvero una risorsa per l’essere umano, e non viceversa?

            E se non partiamo da noi, da chi allora?

            Come comportarti se sai di una violenza

            In ogni caso, che sia in famiglia o al lavoro, se ti trovi tuo malgrado accanto a persone vittime di violenza, sappi che il tuo ruolo e contributo può essere determinante. ISTAT ci dice infatti che il 40% delle richieste di aiuto e supporto arriva a famigliari e amici, o comunque nella cerchia di persone vicine. In questo caso, ti suggerisco di: 

            • metterti semplicemente in ascolto;
            • non giudicare;
            • non sminuire;
            • non razionalizzare ciò che ti viene condiviso con tanta difficoltà. Viceversa la persona potrebbe sentire che la sua reazione sia ingiustificata, o eccessiva, ritirandosi ulteriormente isolata. 

            Normalizzare la sua reazione (NON ciò che le è accaduto), è la strada principale per consentirle di aprirsi, e cominciare un percorso di consapevolezza, guarigione e auto-protezione. 

            Nota i segnali (difficoltà emotive, silenzi, panico, disturbi del sonno), sii presente, ascolta e, se ti senti sopraffattə, chiedi guida e sostegno a tua volta.

            E se la vittima sei tu?

            Se invece sei tu vittima di violenza, se ti senti colpevole, provi vergogna per qualcosa che è avvenuto fuori dalla tua sfera di volontà, senza il tuo consenso, se senti di avere subito un comportamento che fatichi ad affrontare e superare, sappi che non sei sola, e ci sono persone e professionisti disponibili ad aiutarti. 

            Ciò che ti sta accadendo o ti è accaduto è sbagliato, ma la tua reazione è assolutamente normale. Puoi trovare aiuto concreto cominciando a dare un nome all’evento e a ciò che provi e, soprattutto, riconoscendo che non è colpa tua, perché tu sei la vittima e non il contrario.

            Per supporto e una guida consapevole chiama il Centro Antiviolenza al 1522 o visita il sito 1522.eu.

            chiama il 1522!

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