Il dono della paura – di Gavin De Becker
Lezioni di autodifesa e sopravvivenza
– CoachTania –
Psicologa, Mental Coach, Esperta di crescita, relazioni e benessere.
Disclaimer
Nonostante io creda fortemente nella possibilità di creare una società positiva, basata su sincere relazioni tra esseri umani di apertura, collaborazione e fiducia, mi ritrovo ogni giorno a supportare persone, in particolare donne, che hanno subito aggressioni in varie forme, manipolazioni o molestie.
La verità è che, al netto di devianze e psicopatologie, l’essere umano è comunque un prisma e la violenza è parte della storia umana e quindi, in potenza, di ognuno di noi.
Non lo credi? Certo, tu sei la persona più pacifica, buona, innocua e onesta che conosci, e assolutamente ritieni che non potresti mai e poi mai aggredire qualcuno.
E se in ballo ci fosse la tua sopravvivenza o quella di chi ami? In quel caso sarebbe diverso, vero?
E allora partiamo da qui: l’essere umano è capace di violenza. A fare la differenza è la motivazione: la giustificazione che siamo pronti ad accettare come legittima.
E la violenza si esprime attraverso molteplici forme, con impatti e conseguenze molto seri per la vittima.
In questo articolo ti parlo di quelle situazioni di potenziale pericolo in cui potresti trovarti e dei segnali a cui prestare attenzione per ridurre al minimo la possibilità di diventare vittima inconsapevole di aggressione o violenza.
Tutto questo vale per situazioni di pericolo sociale (es. aggressione da un estraneo), ma troverai anche spunti utili per intercettare comportamenti e intenzioni manipolatorie in assenza di aggressione fisica.
L’importanza di ascoltare il tuo intuito e le tue red flags
Ti è mai capitato di rimproverarti per avere deliberatamente ignorato i segnali d’allarme? Potresti aver pensato cose tipo: “Era già così evidente”; “c’erano tutti i segnali, perché li ho ignorati?” e via discorrendo.
È ciò che capita alla maggior parte delle vittime di manipolazione e violenza, e ci sono diverse ragioni per cui noi tutti tendiamo a ignorare i segnali. Il primo è che quando proviamo paura, ovvero un’emozione che ci crea molto disagio, normalmente cerchiamo di scacciarla oppure di ignorarla. In realtà la paura è una sentinella potentissima del nostro subconscio, quindi strettamente ancorata al nostro di istinto e andrebbe sempre quantomeno osservata – bisogna dialogare con essa.
Nel libro “Il dono della paura”, un best seller in materia di difesa personale, Gavin de Becker ci spiega alla perfezione come funziona quel meccanismo che, anche di fronte a dei pericoli reali e a situazioni di potenziale o effettiva aggressione, ci impedisce di dare ascolto a quel sesto senso – una voce interiore che invece vuole e sa dirci che qualcosa non va. Già, perché ci sono cose che bisogna vederle per crederci e altre che invece bisogna crederci per vederle.
E questo è ancor più vero per noi donne.
Troppo spesso la necessità di essere considerate gentili e disponibili e di non essere invece etichettate come eccessive, reattive o paranoiche, ci fa mettere a tacere l’istinto. L’aspettativa sociale che ci vuole educate, sorridenti nel rispondere a un complimento o a una offerta di aiuto, sempre cordiali di fronte a un approccio, non ci fa sentire in diritto di rifiutare apertamente ed esplicitamente approcci che invece consideriamo indesiderati.
Un po’ come quando arriva un tizio che si offre di aiutarti a portare un pacco, o la spesa, o a cambiare la ruota della macchina. A volte quell’aiuto lo desideri e la situazione non rappresenta per te un pericolo, altre volte invece vorresti semplicemente dire di no perché percepisci che qualcosa non va, ma ti senti in forte imbarazzo a rifiutare per non essere considerata scortese.
Ora dimmi: stai camminando di sera e avverti dei passi alle due spalle, cosa fai? La maggior parte di noi non fa nulla, al massimo accelera impercettibilmente il passo e resta con lo sguardo fisso dritto davanti a sé per almeno due motivi:
- paura: non vogliamo correre il rischio di innescare reazioni nel caso in cui la persona abbia intenzioni pericolose;
- imbarazzo: non vogliamo offendere la persona nel caso in cui in realtà non avesse alcuna intenzione che ci riguarda – che figura ci faremmo?
I manuali di difesa personale, invece ci insegnano ad ascoltare il nostro intuito: se avvertiamo un pericolo, la prima cosa da fare è verificare se quella percezione di pericolo sia o meno motivata e sottrarci subito dal ruolo di vittima per metterci al sicuro.
Nell’esempio della persona alle nostre spalle: noi non sappiamo chi sia questo individuo, che intenzioni abbia, se sia da solo o ci siano altre persone, se sia armato o sotto effetto di stupefacenti, quindi preoccuparci di cosa penserà di noi e di una nostra reazione allarmata dovrebbe essere davvero l’ultimo dei nostri problemi.
Dunque, in questo caso, può essere una buona idea mostrare di essere presenti e attente, ad esempio voltandoci e guardando nella sua direzione, non con atteggiamento di sfida o provocazione, ma con l’obiettivo di raccogliere informazioni che ci permettano di valutare la situazione, oltre che per mostrargli che l’abbiamo sentito e visto, disinnescando quindi l’illusione dell’effetto sorpresa nel caso in cui fosse effettivamente un aggressore. Se possibile attraversiamo anche la strada, in modo da verificare anche che cosa farà effettivamente quella persona. In base al comportamento dell’altro, si potrà allora valutare di mettere in campo tutte quelle tecniche psicologiche e comportamentali (in primis la fuga) che un buon corso di difesa personale può trasferirci.
L’intuito come primo strumento di difesa
De Becker sottolinea quindi che il nostro intuito sia la prima linea di difesa contro il pericolo. Infatti, anche quando non siamo consapevoli a livello razionale di una minaccia, il nostro subconscio raccoglie piccoli segnali e ci avverte con sensazioni di disagio o ansia.
L’intuito reagisce sempre a qualcosa e ha a cuore il nostro interesse, pertanto va ascoltato sempre, soprattutto quando si esprime sotto forma di paura. Ascoltare, osservare e quindi reagire.
L’autore del libro ci presenta moltissimi esempi di situazioni di effettivo pericolo in cui le vittime hanno ignorato i segnali di allarme, ovvero i segnali di sopravvivenza (quali paura e ansia) che il loro corpo gli aveva inviato. Segnali in realtà generati da specifici elementi del contesto e da precisi comportamenti degli aggressori. Qui ora parleremo e approfondiremo alcuni di questi comportamenti manipolatori, non palesemente e direttamente aggressivi, poiché quelli sono di per sé già evidenti e non necessitano di particolari interpretazioni.
Quali comportamenti possono essere segnali di pericolo
Conoscere questi comportamenti può aiutarti a dare più fiducia al tuo intuito in quelle situazioni specifiche di potenziale pericolo, offrendoti degli spunti concreti per analizzare la situazione con più lucidità e decidere come comportarti mettendoti al sicuro.
Eccone alcuni, che De Becker ci dice essere tra i più frequentemente utilizzati dagli aggressori durante i primi approcci con le vittime.
1. Unione forzata
Ad esempio, l’uso forzato del “noi”.
È quando qualcuno cerca di creare un senso di falsa connessione o vicinanza, contro la tua volontà. Immagina una persona che si avvicina nel parcheggio semi deserto della discoteca in cui hai trascorso la serata e, dopo avere attaccato bottone, comincia a commentare che, “sicuramente entrambi non vi siete risparmiati in pista” e dopo tutto quel ballare, vi “meritereste proprio una brioche in autogrill”.
Questo tipo di strategia viene utilizzata come una tecnica di manipolazione per abbassare le difese e renderti più vulnerabile, illudendoti che vi sia una vicinanza emotiva che non si è invece sviluppata naturalmente.
È quel “siamo sulla stessa barca” imposto un pò forzatamente e senza che la situazione lo richieda.Può avvenire anche attraverso l’uso eccessivo di familiarità, come chiamarti con soprannomi, comportarsi come se ci fosse già una relazione intima, o fare riferimento a “destino” o “coincidenze” per giustificare il loro comportamento e per creare un legame.
Non è sempre un pericolo, ma quando viene utilizzato da uno sconosciuto nei confronti di una donna in una situazione che la rende vulnerabile (es. di sera, in una zona deserta) è sempre da considerarsi inappropriato perché si tratta del tentativo di costruire intimità in una situazione di oggettivo potenziale pericolo.
Questo ti legittima sempre a considerarlo un segnale d’allarme e a non incoraggiarlo, anzi meglio ancora a sottrarti: di’ chiaramente di no e allontanati il prima possibile!
2. Troppi dettagli
Quando le persone dicono la verità, non temono di essere smentite o che qualcuno possa mettere in dubbio le loro parole, pertanto non aggiungono dettagli a supporto di ciò che stanno affermando se non sono necessari. Quando qualcuno invece mente, tende a rinforzare la credibilità di ciò che sta affermando, aggiungendo precisazioni e informazioni non necessarie.
Immagina lo stesso ragazzo di prima che comincia a raccontarti della sua fantomatica ragazza che lo ha lasciato lì a metà della serata preferendo la compagnia di altri amici. L’eccesso di dettagli può semplicemente depistarti dal contesto più generale e spesso ben più importante, come – in questo caso – la consapevolezza che quella persona sia una totale sconosciuta.
Ancora peggio: può farti sviluppare empatia verso di lei riducendo la tua diffidenza, dunque le distanze.Se qualcuno ti approccia e, dopo avere attaccato bottone, comincia a fare affermazioni e fornirti dettagli eccessivi, tu prestaci attenzione.
In questo modo resterai concentrata sul contesto e valuterai con attenzione: chi è questa persona e cosa vuole in questo momento da me? È una situazione di potenziale pericolo? In questo modo saprai scegliere il comportamento migliore e più sicuro per te.
3. Caratterizzazione
È la tecnica con cui una persona cerca di descriverti in un certo modo o di attribuirti tratti che non hai effettivamente espresso o mostrato, con lo scopo di manipolarti emotivamente o di farti abbassare le difese.
È un metodo di controllo psicologico, perché ti spinge a conformarti a un ruolo che non hai scelto, modificando i tuoi comportamenti. Ad esempio un commento come “so che non sei come le altre, tu ascolti e capisci davvero le persone”, o al contrario un “forse sei troppo snob per dedicare 5 minuti a un tipo umile come me”, per trattenerti in una conversazione in cui effettivamente tu non vuoi stare (dettaglio evidentemente percepito dall’interlocutore se sente il bisogno di caratterizzarti).
La caratterizzazione, a prescindere dal contesto più o meno pericoloso e dal grado di consapevolezza della persona che la utilizza, è sempre una tecnica manipolatoria. Notala per decidere con maggiore consapevolezza come comportarti.
4. Fascino e eccessiva gentilezza
Il fascino è una competenza specifica delle persone, non un tratto di personalità, e infatti normalmente viene esercitato volontariamente per uno scopo. Non ti torna? Pensaci: il termine “affascinare” deriva dal latino fascinare, che significa “stregare” o “incantare” (= esercitare una sorta di potere magico su qualcuno, come se lo si stregasse o lo si ipnotizzasse, ovvero fargli fare ciò che vogliamo noi). Piuttosto che pensare “questa persona è affascinante”, ti invito a riformulare con “questa persona sta cercando di affascinarmi”. Credo ti sia chiaro che questo porta a conclusioni e implicazioni molto differenti.
“Era così gentile/ affascinante” è la frase che più di frequente sento pronunciare alle donne che arrivano da me per liberarsi di una relazione tossica – ad esempio con un narcisista – ma De Becker ci dice che è anche una delle più menzionate in casi di aggressioni a danni di ragazze. Gentilezza e fascino non sono ovviamente sempre un pericolo.
Dobbiamo però imparare a interrogarci su quale sia lo scopo dell’interlocutore quando le utilizza, specie se questo avviene in situazioni (o in momenti) potenzialmente pericolosi per noi o di nostra spiccata vulnerabilità. Come un estraneo che, nel parcheggio isolato del supermercato, si offre di aiutarci a caricare le borse in macchina senza che abbiamo effettivamente chiesto noi il suo aiuto o abbiamo mostrato effettivi segni di difficoltà. Hai diritto di affermare un solido e forte: no. Perché se é indubbiamente vero che ogni persona che ci parla con gentilezza non vuole assolutamente aggredirci, è altrettanto vero che la maggior parte delle aggressioni (o relazioni disfunzionali) cominciano con approcci eccessivamente cordiali o non richiesti, proprio per abbassare le difese della vittima.
D’altra parte, se si approcciassero in malo modo, grideremmo o scapperemmo subito a gambe levate, no?
5. Strozzinaggio
Nell’offerta di aiuto non richiesta può esserci un’altra intenzione, ovvero farti sentire in debito, per poi spingere su quel senso di disagio che ne deriva. A me è capitato, ad esempio che raccogliessero da terra le chiavi che mi erano appena cadute, e nel restituirmele abbiano affermato “ora però potresti offrirmi un passaggio”. Per fortuna in quel caso me la sono cavata con un determinato e fermo “ma anche no”.Anche qui, è l’insieme di contesto, situazione, emozioni a determinare se il comportamento debba essere percepito come più o meno pericoloso. Ma supponendo anche che una simile affermazione volesse solo essere uno scherzo innocuo, nessuno ha autorizzato l’altra persona a prendersi questa libertà.
6. Promessa non richiesta
Può capitare che i potenziali aggressori, esprimano una promessa seppur non richiesta, come “dai, sali due minuti, un caffè e ti lascio andare, promesso”. La promessa viene usata per convincerti, ma non offre alcuna garanzia. Quando qualcuno ha bisogno di prometterti qualcosa è perché comprende che non sei convinta e sente di dovere insistere. Se non sei convinta, è perché hai dei dubbi (=un potentissimo segnale dell’intuito). Ascolta sempre i tuoi dubbi e il tuo intuito e se avverti paura, o più semplicemente non hai intenzione di approfondire in quel momento la conoscenza o di trascorrere del tempo con quella persona, hai tutto il diritto di affermare un forte e determinato: no.Anche in assenza di aggressioni, la promessa non richiesta è sempre un utile segnale che ti invita a osservare con attenzione cosa sta succedendo nella relazione o nella dinamica.
7. Ignorare i tuoi no
Questa è tipicamente la forma di “abuso” psicologico con cui più frequentemente entriamo tutte in contatto. Comportamento tipico di moltissimi genitori, fidanzati e amici. Comportamento che troppo spesso auto-esercitiamo anche su noi stesse, quando accettiamo qualcosa che intimamente sentiamo che per noi sarebbe “no”, eppure scegliamo di subirlo ugualmente.
Nei casi di aggressione, questo è forse il segnale più eloquente. Puoi magari volere accettare che tuo marito ignori il tuo no mentre ti toglie un carico pesante dalle mani, o che tua mamma ti metta della pasta nel piatto anche se in quel momento non la desideri (bada bene ho detto “puoi volere” e “magari”), perché mediamente non è in gioco la tua sopravvivenza (al massimo la tua autostima).
Ma con gli estranei ti invito ad essere inflessibile sui tuoi no, mantenendo tu la responsabilità e il potere su ciò che sta accadendo. Per questo il no non va mai negoziato, perché dove ammettiamo trattative, stiamo ammettendo possibilità.
La persona che decide di non sentire il tuo no, sta cercando di controllarti in un qualche modo, o comunque non vuole cedere il suo controllo sulla situazione. E questo è tanto più grave quanto più questo no riguarda il tuo senso di sicurezza.
Il no ha un solo significato ed è bene che lo teniamo sempre tutti presente.
È chiaro che tutti questi segnali sono appunto solo segnali. Conoscerli però e notarne la presenza (o la compresenza) può aiutarti a tenere gli occhi aperti e ascoltare il tuo intuito in tutte quelle situazioni in cui stai effettivamente correndo un pericolo reale o potenziale.
E ricorda che – specie di fronte al pericolo – puoi sempre e assolutamente fregartene di apparire gentile, disponibile o cortese. Tu hai diritto di metterti immediatamente in sicurezza e di affermare un grande e forte NO.
Psicologia dell’aggressione: non essere preda
Avrai notato che ho più volte sottolineato la necessità di affermarti con forza e determinazione.
La ragione ha a che fare con la psicologia della vittima e dell’aggressore.
Conoscere cosa ti possa “rendere vittima” nella dinamica è essenziale, perché é da lì che puoi partire per comportarti diversamente, ridurre i rischi o interrompere quel meccanismo.
È importante quindi comprendere ad esempio perché nelle aggressioni da sconosciuti, l’assalitore possa decidere di scegliere proprio te e non qualcun’altra. Si, perché mediamente c’è una ragione. Un aggressore infatti (sempre al netto di psicopatologie e devianze) seleziona la sua vittima tra molte potenziali. Questo è vero per tutti gli abusanti, ma qui parliamo in particolare della selezione della vittima nel caso di aggressioni da estranei.
Se vuoi invece saperne di più sulle vittime designate dai narcisisti dentro relazioni tossiche, qui trovi un articolo di approfondimento.
La selezione avviene sempre sulla base della vulnerabilità percepita.
L’uomo che ti si avvicina mentre carichi la spesa e ti trovasse reagire con un timido “no grazie” o ancor peggio non ricevesse reazione, più probabilmente ti considererà la vittima ideale, perché più remissiva e semplice da controllare, rispetto a una donna che dovesse voltarsi e affermare un secco “no”. Anche perché un estraneo che rifiuta un no, non è scortese, ma pericoloso. Un estraneo che cerca di manipolarti utilizzando le tecniche espresse sopra, nel migliore dei casi è qualcuno che vuole imporre il suo controllo su di te.
E allora tu sei ben più che in diritto di reagire con il massimo della diffidenza e dell’auto-protezione, sottolineando la tua volontà senza timore di apparire scortese.
Una preda meno appetibile
Oltre a dichiarare esplicitamente i tuoi no, ci sono altri comportamenti che possono renderti una preda meno appetibile per un malintenzionato, che tipicamente segue la dinamica preda-predatore andando a scegliersi il luogo e la preda più adatti.
Infatti, il primo check che fa l’aggressore è quello di selezionare la preda con la soglia di attenzione in quel momento più bassa possibile, ovvero la persona che meno probabilmente si accorgerà dei campanelli d’allarme.
Sceglierà la persona più facile da colpire, visto che l’effetto “agguato” è quello più utilizzato per strada.
Quando la tua attenzione è alta, tu sei in grado di cogliere tutti gli indizi che ti servono per intercettare e prevenire una situazione pericolosa. In quei momenti la tua capacità di seguire l’intuizione e il tuo istinto è molto elevata, perché sei in allerta, dunque ti accorgi più facilmente se qualcosa non va.
L’attenzione ti permette quindi di accorgerti di ciò che accade intorno a te, e questa è la prima strategia per attuare dei comportamenti che ti mettano in sicurezza ma, soprattutto, per non essere intercettata e selezionata come vittima perfetta.
Quali sono i comportamenti che ti rendono una facile preda?
Tutti quelli che consumano parte della tua attenzione: andare in giro con entrambi gli auricolari nelle orecchie (comportamento che invece molte di noi assumono proprio quando abbiamo paura, magari la sera sui mezzi pubblici, per tenere l’ansia sotto controllo); stare completamente concentrata sul telefono, o su un libro, o sulla lista della spesa o delle cose da fare.
Noi abbiamo un serbatoio limitato di capacità attentive e per spostare il focus da un’attività a un’altra, il cervello ha bisogno di un certo tempo di latenza. Si tratta del tempo che gli serve per spostare l’attenzione da dove si trova al nuovo stimolo, capire cosa sta succedendo e, solo infine, per poter reagire.
Se mentre guardi il telefono magari stai anche camminando, il tuo cervello sta concentrando quasi tutta la sua capacità di attenzione su diverse attività complesse e così il tuo serbatoio di attenzione residuo è pari allo zero. In questo scenario perdi completamente la capacità di intercettare, ad esempio, una persona che si sta avvicinando o ti sta seguendo o ti sta osservando con intenzione aggressive. Il tuo cervello avrà bisogno di una grande quantità di tempo per poter reagire adeguatamente e questo ti rende la vittima perfetta.
Fidati del tuo intuito e proteggiti
Essere consapevole dei segnali di pericolo e ascoltare il tuo intuito sono strumenti fondamentali per prevenire situazioni spiacevoli o pericolose e limitare rischi e conseguenze.
Hai sempre il diritto di dire NO e di affermarti, mettendo al primo posto il tuo benessere e la tua sicurezza, senza doverti preoccupare di apparire sempre accogliente e malleabile. Proteggersi non è un segno di debolezza, anzi, affermarti è un atto di forza e rispetto verso te stessa, proprio perché si tratta di agire assecondando le tue intuizioni e fuori da irrealistiche aspettative sociali che ti preferirebbero vittima, piuttosto che scortese.
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