Allattamento e maternità?
No, grazie
Come nutrire una cultura più sana per le famiglie, anche nelle aziende – il ruolo chiave di “HR”
– CoachTania –
Psicologa, Mental Green Coach, Esperta di crescita, carriera, e leadership sostenibile.
Premesso che già definirlo “ruolo HR” mi dia un pò i brividi. Le Human Resources: ed è subito il mega-direttore di Fantozziana memoria. Da quando lavoro in questa funzione, oramai 15 anni, la prima cosa che mi ostino a fare quando entro in una nuova organizzazione (quanto amo la flessibilità delle Startup!) è rinominarla “People and Culture” (P&C) dal giorno zero.
Perché il linguaggio è importante. Il linguaggio veicola la cultura, veicola significati, addirittura influisce sulla percezione. Avrai sentito parlare almeno una volta dell’ipotesi di Sapir-Whorf, quella secondo cui gli eschimesi abbiano tantissime parole per definire la neve e quindi riescano a individuare tipi diversi di neve che noi non siamo in grado di distinguere. Ecco, mi riferisco più o meno a questo tipo di costrutto.
L’importanza del linguaggio è determinante. Anche nelle aziende. Assegnare una nomenclatura adatta alle cose, ne definisce e trasferisce l’identità, dunque lo scopo.
Questa attenzione al linguaggio me la porto dietro da sempre. E nel mio ruolo di Direttrice People&Culture, uno dei miei focus è sempre stato quello di promuovere delle definizioni puntuali, educare al modo in cui ci esprimiamo, prima di tutto noi della funzione.
Se è vero che il linguaggio veicola la cultura, non stupisce l’utilizzo che si fa nel nostro paese di alcune definizioni ad uso comune. Le politiche per il sostegno alla famiglia nel nostro paese non sono evolutissime, si sa.
Allattamento e maternità. Ma siamo seri?
E è vero che anche il nostro tanto demonizzato INPS si sia adeguato, da oramai 15 anni, alle direttive EU, rinominando finalmente in “Congedo Parentale” la tanto discussa “Maternità Facoltativa”, e ridefinendo i famigerati “permessi per allattamento” come “ore di indennità per riposi giornalieri per padri e madri dipendenti”. Eppure tutti noi (e ahimè anche noi tecnici e specialisti) continuiamo a riferirci ad allattamento e maternità come se fossero l’unico istituto esistente.
I nostri numeri
In materia di sostegno alla genitorialità, siamo ancora il fanalino di coda dell’Europa.
Basti pensare non solo ai paesi scandinavi, che come ben noto sono sempre all’avanguardia per tutto ciò che concerne il welfare e più in generale l’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro; ma anche la ben più vicina Spagna, dove dal gennaio 2021 il congedo è divenuto di 16 settimane non trasferibili, ed è fruibile sia dai padri che dalle madri, che vengono retribuiti al 100% dello stipendio.
Parità. Un costrutto astratto nel nostro paese, e a pagarne le spese si sa, sono proprio le famiglie. Il che significa la Società tutta.
Significativo che anche quel poco previsto dalla nostra previdenza – tra cui 10 (si, ho detto DIECI) giorni di congedo obbligatorio per i padri; 3+3 mesi facoltativi; indennità di riposo – non venga poi di fatto fruito dalla maggior parte dei papà.
Si. non viene fruito.
Si stima infatti che dal 2016 solo il 35% degli aventi diritto abbia fruito del congedo di paternità obbligatorio, e ancora meno chi abbia richiesto il congedo parentale (3K su 400K nascite) → meno dell’1% degli aventi diritto. Ma non sono solo le misure al sostegno il problema. Le quote, le normative, i gap salariali e via discorrendo.
Questa visione miope è fortemente radicata nella nostra cultura, e nel nostro linguaggio.
Senza scatenare il ginepraio dei dibattiti D&I, che le persone tendono a considerare sempre molto distanti da sé e per questo generalmente poco azionabili nel loro quotidiano, vorrei richiamare l’attenzione su quello che è invece direttamente sotto la sfera di controllo, e di responsabilità di tutti noi: la parola.
Chiamare le cose con il loro nome
Questo è essenziale in ogni area della vita, e della crescita. Lo riscontro quotidianamente nelle mie sessioni di coaching, ma la funzione “People” non fa eccezione.
Noi operatori del settore dobbiamo smettere di chiamare “allattamento” quelle preziosissime due ore che ogni genitore può legittimamente utilizzare per prendersi cura della famiglia, o di sé stessə, magari per riposare. In fin dei conti, si chiamano indennità per riposi, e solo un genitore sa quanto ne avremmo davvero bisogno, quando arriva un bambino.
Se non evolviamo, continueremo a nutrire quella visione che vuole la mamma a casa e il papà a lavoro, la prima in perenne balìa dei piccoli arrivati e delle annesse nuove responsabilità, e il secondo incastrato nei restanti oneri. Follia, e passato remoto.
Inevitabile poi si generino conflitti, aumenti la pressione e acuiscano le tensioni, dentro e fuori casa.
E se è vero che possiamo sempre imparare a comunicare meglio, in maniera più efficace i nostri bisogni, serve che evolva anche il paradigma più ampio di riferimento.
Come possiamo aspettarci che si diffonda invece una cultura differente, con la famiglia al centro (e dunque la persona), e i bisogni di entrambi i genitori tenuti in considerazione, e che per un papà sia proprio normale, o ovvio, pensare di fruire di quel poco cui ha diritto?
Il Megadirettore Galattico
Se è vero che promuovo e professo quotidianamente la pratica del Benvenuto, su questo argomento è anche necessario prendere una chiara posizione.
È tempo di mettere in discussione le vecchie pratiche e i metodi arcaici, ed è necessario sfruttare ogni piccolo centimetro di raggio d’azione.
Come detto, il linguaggio è lo strumento che utilizziamo per veicolare i nostri significati, e la nostra cultura. Per definire cosa sia lecito o normale e cosa no. Cosa vada bene e cosa no. Cosa ci si possa aspettare, e cosa no.
Un linguaggio improprio rinforza un messaggio che rende “anomalo” o “atipico” o “distonico” un comportamento che invece dovrebbe essere raccomandabile, e rappresenta già di per sé una surreale conquista nel bel paese. Quando parliamo di persone, delle nostre persone, il modo in cui formuliamo le nostre parole può davvero creare un ambiente accogliente e inclusivo oppure uno alienante e distaccato.
Quando ascolto invece alcuni interventi di importanti “professionisti HR”, affermati e riconosciuti, mi stupisco di quanto ancora riusciamo a essere retrogradi. Proprio come il Megadirettore Galattico. Altro che schwa. Qui siamo ancora al “personale”.
Vorrei che questi professoroni si rendessero conto che non sono più solo una funzione di supporto che gestisce il reclutamento e la retribuzione, il PERSONALE”, appunto; sono (o dovrebbero essere) il cuore pulsante della loro organizzazione, l’anima che infonde vita e cultura in ogni azione, progetto, comunicazione.
Certo, in un mondo in cui le parole “people and culture” cominciano a diventare semplici sinonimi di HR, è facile perdersi in slogan accattivanti e perdere di vista il vero senso della definizione. Mentre cerco una nuova definizione, non inflazionata, mi domando se le aziende in cui operano e governano questi “Guru dell’HR” riescano a considerare le loro persone quantomeno una risorsa. Specialmente dopo la “Big Resignation”.
Quanti invece li trattino ancora come semplici ingranaggi di una macchina, ignorando il loro benessere, la loro crescita e la loro voce. E stupendosi che a vecchi mali rispondano ancora rimedi endemici, come i Sindacati (no, vi prego, non apriamo questo capitolo, non questa volta).
Il dilemma è reale: da una parte, l’efficienza e la produttività, dall’altra, l’umanità, il valore e la cultura. Ma dobbiamo davvero scegliere? O possiamo trovare un equilibrio in cui le persone siano al centro, non solo come risorsa, ma come partner, creatori, innovatori?
Cominciare da noi, nel nostro piccolo, resta sempre e comunque il primo e più importante passo da muovere, per essere veramente “il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo“.
Io, la mia parte, cerco di farla ogni giorno – stay tuned!
Scrivimi
Contattami
(+39) 347 9034362
posta@coachtania.it