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Donne che amano troppo 

Dipendenza affettiva e rapporti disfunzionali. Uno strumento di diagnosi e la via della guarigione. Come Robin Norwood ci aiuta a liberarci 

CoachTania

– CoachTania – 

Psicologa, Mental Green Coach, Esperta di crescita, carriera, e leadership sostenibile. 

Donne che amano troppo

La prima volta che ne ho sentito parlare – come di una vera e propria categoria a sé stante – si è trattato di un gruppo Facebook chiuso.

Ho tentato di accedervi, riconoscendomi istintivamente in quella etichetta. Inoltrando la richiesta e sinceramente curiosa, ma mi sono imbattuta in un muro di diffidenza e rifiuto da parte delle admin, a causa della mia identità professionale:

Ah, sei psicologa? No, non possiamo ammetterti al gruppo. Perché? Tratta di dipendenza affettiva e rapporti disfunzionali. Di solito non ammettiamo psicologi“.

Questa decisione mi ha profondamente colpita: non ne ho proprio compreso le logiche.

Mi sono domandata in che modo la mia presenza potesse disturbare i membri del gruppo, e a qual punto ho cominciato a fantasticare sul tenore delle conversazioni, considerata la reazione delle admin. Così ho deciso approfondire l’argomento, e mi sono imbattuta nell’omonimo libro di Robin Norwood, recensito praticamente ovunque come un cult.

Se il titolo non fosse stato sufficientemente eloquente, non potevano certo lasciarmi indifferente le primissime parole della sintesi ufficiale: quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo.

 

Donne che amano troppo

Quell’equazione troppo amore=sofferenza, mi ha subito generato l’ovvio interrogativo:

ma quale donna (o quale persona) non ha allora amato troppo, almeno una volta?

Diffidente per natura, quando si tratta di temi che impattano la sofferenza e i vissuti emotivi in genere, ho approfondito sull’autrice: Robin Norwood, psicoterapeuta americana specializzata in terapia della famiglia, si è occupata per anni di tematiche connesse alle dipendenze. Bibliografia ricca e verificata. Ok, non è fuffa – ho pensato. Vale la pena provare a leggere un libro che è stato scritto 30 anni fa, e ri-edito ben 68 volte solo in Italia.

E ho fatto bene.

Fin dalle primissime pagine ho avvertito che per certi versi il libro parlasse a me, (anche) di me.

A me come donna, che ha amato troppo senza dubbio in ben più di un’occasione, a me come bimba, che ha dovuto affrontare troppo prematuramente il dolore e le fatiche di un lutto dai confini oscuri, con tutte le più o meno prevedibili conseguenze. A me come professionista, che si imbatte ogni giorno in donne che amano troppo, e soprattutto a me come mamma, con tutte le responsabilità emotive ed educative che ne derivano.

Donne che amano troppo

Per questo è una lettura che affrontano sia uomini che donne, e che suggerirei indubbiamente ai genitori in quanto tali.

Può aiutare a comprendere le proprie dinamiche personali, quelle della propria famiglia, ma anche favorire la comprensione di relazioni a noi vicine, rendendoci maggiormente in grado di supportare chi amiamo, o prevenire eventuali spiacevoli conseguenze e complicazioni.

Il libro racconta numerose storie di donne che amano troppo, invitando fin dall’inizio alla totale immersione e riflessione, e propone poi suggerimenti utili per attuare il proprio cambiamento. Racconta di storie che possono apparire casi estremi, o lontani, ma la verità è che le personalità e gli atteggiamenti delle protagoniste raccontate sono riscontrabili in centinaia di donne che anche io ho conosciuto personalmente.

È un libro che mi ha colpita al cuore non solo per i casi che narra, ma perché descrive minuziosamente alcune dinamiche nelle quali non solo io stessa ho rintracciato fasi di un mio passato amoroso, ma anche persone che stimo e amo si sono trovate completamente e irrimediabilmente definite.

Chi è la donna che ama troppo?

Una donna che ama troppo è prima di tutto colei il cui benessere emotivo sia in qualche modo messo a repentaglio da una relazione di coppia, (sfociando, nei casi più estremi, nella compromissione anche del benessere fisico, di quello economico o della sicurezza). Normalmente il partner in questione finisce per divenire una sorta di ossessione, convertendo le ordinarie preoccupazioni (non ha chiamato, non mi ama più come una volta, come posso renderlo più felice…) in pensieri disturbanti e dominanti che compromettono la serenità di lei.

Ci dice l’autrice che una donna che ama troppo, in realtà non ama affatto, poiché è dominata dalla paura (di restare sola, o di non essere degna d’amore, di essere dunque ignorata oppure abbandonata). Si tratta quindi di una donna che usa la sua relazione per dimenticare o mettere a tacere il proprio dolore, per sentirsi migliore di come in realtà non ritenga di essere, appunto: non meritevole d’amore e interesse.

Le caratteristiche della della donna che ama troppo

La donna che ama troppo avrebbe una personalità ferita, incapace di prendersi pienamente cura di se stessa.

Si tratta di una donna che si attribuisce poco valore, che non ha intimamente fiducia nelle proprie capacità e che ha dunque paura di non essere meritevole d’amore: questo la induce ad accettare più o meno qualsiasi cosa dall’uomo scelto perché la rassicuri.

Il partner selezionato in età adulta avrebbe quindi la funzione di colmare un vuoto, di sanare delle ferite profonde createsi durante l’infanzia. Non reputandosi degna d’amore, necessita di lui per potersi considerare amabile e per lui deve sacrificarsi.

Qui puoi trovare altre informazioni sulle ragioni per cui, normalmente, si sviluppa uno stile di relazione di questo tipo.

Qui di seguito invece la check list, ovvero un elenco di caratteristiche per potersi o potere riconoscere qualcuno che riteniamo potenzialmente a rischio di essere una donna che ama troppo. Tra le altre:

  • hai avuto una famiglia in cui non vi era sufficiente attenzione per i tuoi bisogni emotivi?
  • la tua autostima è molto bassa: da qualche parte in te c’è la convinzione di non meritare di essere felice?
  • ti sei sentita poco amata e tendi ad offrire eccessivamente le tue cure per colmare questo bisogno?
  • usi il sesso come strumento per manipolare o cambiare il tuo partner?
  • sei più in contatto con il come potrebbe essere (la tua relazione, il tuo partner) che non con la realtà e la quotidianità che abiti?
  • ti domandi più quanto lui abbia bisogno di te che non quanto reale interesse provi tu per lui così com’è?
  • rispondi eccessivamente a uomini emotivamente indisponibili che cerchi di cambiare grazie al tuo abbondante amore e cura?
  • fai qualsiasi cosa per evitare che la tua relazione finisca?
  • qualsiasi cosa è accettabile se serve ad aiutare il tuo partner, dimenticando le responsabilità che hai verso te stessa?
  • non trovi attraenti gli uomini gentili, equilibrati, “normali” e semmai li trovi noiosi?
  • Fai uso di sostanze, farmaci o alcolici per placare le tue sofferenze?

Bene, se ti ritrovi in buona parte di queste caratteristiche, o vi riconosci qualcuno a te vicino, allora potresti/ potrebbe essere una donna che ama troppo.

Sia ben chiaro. Parliamo di donne, ma a mio avviso le stesse identiche dinamiche sono attribuibili a chiunque, a prescindere da genere o identità. Proprio perché spesso figlie di dinamiche in età infantile, che non discriminano necessariamente in base alla tipologia di cromosomi.

Alla base delle dinamiche con il partner vi sarebbero meccanismi di negazione e controllo: l’illusione di cambiarlo, curarlo, renderlo migliore (più capace, più felice, in ogni caso diverso..) di ciò che sia realmente (negando di fatto la realtà) si traduce nella speranza che, riuscendo a controllare ləi, si diventi capaci anche di controllare le proprie sofferenze. Ci si innamorerebbe di qualcuno perché ci offrirebbe la certezza di avere in qualche misura bisogno del nostro aiuto per realizzare al massimo le proprie doti.

Per questo molto spesso donne con questi tratti di personalità svolgono professioni d’aiuto: infermiere, psicologhe, assistenti sociali, coach. Si tratta di donne che si assumono un sacco di responsabilità, o che puntano a prendersi cura degli altri nella speranza di guarire la profonda ferita che portano dentro. E normalmente ciò che avviene è che giungono a curarsi grazie al percorso intrapreso per divenire professioniste d’aiuto.

Donne che amano troppo

Come tratta il suo uomo/partner la donna che ama troppo?

Ne giustifica i malumori, le mancanze, il cattivo carattere, l’indifferenza, perfino i tradimenti fino anche alle aggressioni.

E’ offesa, ferita, mortificata e risentita dal suo comportamento, ma continua a tollerarlo perché in qualche misura pensa sia anche colpa sua: è lei a non essere abbastanza (sufficientemente amorevole, attraente, affettuosa,  capace di cambiarlo…).

Questa dinamica dell’attribuirsi la responsabilità dei comportamenti di lui e del suo cambiamento, e dunque dell’infelicità della sua condizione attuale, riflette la necessità di sentirsi in qualche modo in controllo, anche della spiacevolezza della vita.

Infatti presuppone la convinzione: se io cambio, se io faccio qualcosa, di più, di diverso, se io agisco in qualche direzione, il dolore può cessare, e dipende da me. Se invece al contrario ritenessimo che tutto dipenda unicamente dagli altri, dovremmo accettare di non avere possibilità di cambiare le cose, e dovremmo rassegnarci a soffrire in eterno, o comunque per un tempo imprevedibile (Qui per approfondimenti sul tema del controllo e della partecipazione attiva alla propria vita).

Lei, la donna che ama troppo, vuole essere quella che rompe l’incantesimo, che libererà lui da ciò che lo imprigiona (e che le altre non sono riuscite a liberare), che lo salverà. Già. Lei diverrà così la salvatrice, l’unica, speciale. Per questo sono così ammalianti, per la donna che ama troppo, tutte le conferme di lui al fatto che lei sia così diversa dalle altre: lei ha bisogno di sentirsi necessaria!

Donne che amano troppo

L’infanzia della donna che ama troppo

Si tratta normalmente di una donna che da bambina ha subito in qualche modo un abbandono o un profondo distacco emotivo o fisico, un disconoscimento dei propri bisogni, una aggressione o un trauma, e che tenderà a riprodurre negli schemi di relazione adulta, quei pattern appresi nella prima infanzia.

Come detto, lo scopo della riproduzione degli schemi sarebbe la ripresa di controllo (=lo schema noto, ci fa sentire a nostro agio per quanto sia stato doloroso), e reiterare lo schema avrebbe nel tempo funzione curativa (come la bambina che avesse subito violenza e ripetesse la violenza nei suoi giochi finché questa fosse percepita in qualche modo come superata).

Lei potrebbe essere stata una bimba a cui è stato chiesto di sopportare un carico emotivo eccessivo rispetto a ciò che fosse in grado di fare, o di assumersi responsabilità non sue: la morte prematura di un genitore, un divorzio dalle conseguenze non gestite adeguatamente entro la coppia genitoriale, una assenza importante delle figure di riferimento, che hanno privato della presenza o della cura, spingendo la nostra bimba a bastare a sé stessa, o comportarsi da “mammina” o comunque prematuramente da adulta, a prendersi cura di sé stessa, di fratelli, sorelle, del genitore superstite, o di uno dei due particolarmente infelice, o in collera.

In situazioni di tale complessità famigliare o privazione (che sono infinitamente più frequenti e ordinarie di quanto si pensi comunemente, pur con tutte le gradazioni del caso), è frequente che i genitori stessi non abbiano le risorse per far fronte alle sfide della vita, e non siano dunque in grado di proteggere i propri figli nel loro percorso di crescita.

In questo tipo di infanzia affonda le radici la nascita della nostra donna che ama troppo: con genitori aventi loro stessi bisogno di credere che lei possa essere più forte di quanto non sia nella realtà.

E lei, seppure troppo immatura per questo compito, ha finito per sentirsi la responsabilità di proteggere e prendersi cura degli altri, e così ha imparato, in età fin troppo precoce, a prendersi cura di tutti ma non di sé stessa, vedendo ignorati i suoi stessi bisogni di amore, sicurezza, affetto e attenzione e cercando di accogliere e gratificare quelli altrui.

Tutto questo si traduce in relazioni tossiche in età adulta, in dinamiche che si innescano tra due personalità reciprocamente disfunzionali, che nel loro disequilibrio danzano ad un ritmo perfetto: le azioni di lui e le reazioni di lei, e viceversa.

Sono relazioni che le danno l’illusione del controllo perché instaurate magari con persone meno capaci cognitivamente o emotivamente, o meno istruite, o meno esperte: in qualche modo bisognose del suo aiuto, morale, emotivo, economico o sociale. La speranza di cambiare l’altro è connessa all’illusione di poter essere felici, ma così facendo si pone la propria possibile gioia fuori da sé, tra le mani di qualcun altro: si nega così la propria capacità di condursi autonomamente ad un lieto fine, e ci si priva anche della responsabilità di cambiare la propria vita, ignorando il dovere di sviluppare sé stesse concentrandosi invece su piani irrealistici di cambiamento degli altri.

Posticipando così la propria felicità e realizzazione o piena espressione, ancora e ancora.

Donne che amano troppo

La donna che ama troppo, è attratta quindi da uomini che portano con sé situazioni che altre donne, cresciute in una ambiente più equilibrato, responsivo e sano, eviterebbero naturalmente perché pericolose, nocive o spiacevoli.

Questo è dovuto al fatto che lei non sia in grado di valutare realisticamente la problematicità della situazione poiché non ha riguardo per sé stessa, non ha fiducia nei suoi sentimenti e non li utilizza come criterio guida nelle decisioni di questo tipo. Questo tipo di relazione inoltre crea un circolo vizioso: non fa altro che rinforzare esattamente quelle convinzioni di scarso valore, replica i vissuti infantili che hanno condotto a quei comportamenti adulti, e dunque la ferisce in continuazione.

Secondo l’autrice infatti, se la bimba era stata abbandonata o trascurata dal padre, da grande tenderà a trovare un uomo che la trascuri e la abbandoni (se non fisicamente, moralmente o economicamente). D’altra parte solo l’amore cieco e totale di lui possono rassicurarla e farla ritenere degna d’amore. Da qui la sofferenza profonda e la degradazione, dovute ai tradimenti o alle disconferme o maltrattamenti: tanto più lei si lamenterà della situazione tanto lui si allontanerà, spingendo quindi lei ad accettare di buon grado la situazione, e impegnarsi allo stremo per trattenere lui accanto a sé. Come detto, la danza prevede la convinzione che se le cose non vanno bene e lei non è felice, sia perché lei non ha ancora fatto abbastanza.

L’illusione è che lui stia cambiando: 

lei vede continuamente nel comportamento di lui i sintomi del cambiamento desiderato, e vive con la speranza che domani sarà (certamente) diverso.

Va detto: aspettare che lui cambi effettivamente è per lei più facile che non cambiare sé stessa e il proprio modo di vivere.

Donne che amano troppo

La via della guarigione

L’autrice afferma con determinazione che una donna che ama troppo possa cominciare il suo processo di guarigione solo a seguito della presa di coscienza rispetto alla gravità di questo stato e di queste modalità in qualche modo patologiche.

Comprendere che non sia normale associare la sofferenza all’amore, sebbene molti modelli letterari o cinematografici ripropongano continuamente questa relazione come chiave romantica, è il primo passo fondamentale per modificare la propria situazione, a cominciare dallo smettere di sminuirne gli impatti.

Ancora una volta il primo passo è rappresentato dalla comprensione della situazione attuale, e dall’accettazione di essa, quello stato che personalmente amo definire di benvenuto.

Perché?

Poiché è necessario comprendere ed accettare che se l’infelicità è dentro di noi e non viene curata, nessuno potrà mai amarci abbastanza da renderci felici:

quando nel nostro vuoto andiamo cercando l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto. 

Accogliere noi stesse ci permette anche di accogliere l’altro esattamente per ciò che è, senza ambire a cambiarlo, curarloaggiustarlo, risolverlo, ovvero permettergli di esistere esattamente come è, rinunciando al controllo sui suoi comportamenti, rinunciando a definire ciò che sia giusto o sbagliato per lui, rinunciando a detenere la responsabilità della di lui felicità, ma lasciandolo libero di decidere, di agire e di essere: questa è la sola via per conquistare la propria libertà.

Benvenuto però non significa subire l’altro incondizionatamente: tutto il contrario!

Significa manifestare le proprie esigenze, obiezioni, opinioni, ma non con lo scopo di cambiare l’altra persona. Semmai l’obiettivo diviene quello di porre un confine chiaro tra ciò che noi siamo o non siamo disposte ad accettare, dichiarando apertamente (prima di tutto a noi stesse) ciò che davvero desideriamo.

Ci sono una serie di azioni concrete da porre in essere per intraprendere un itinerario di guarigione, ma l’elemento fondamentale ed imprescindibile rimane una piena presa di coscienza rispetto alla serietà della propria situazione, ed anche una comprensione delle possibili innumerevoli alternative per muoversi verso la realizzazione dell’equilibrio dei sentimenti.

Per poterlo fare, il secondo passo è quello di chiedere aiuto.

Sebbene, come anticipato, si tratti di un libro che pone l’attenzione sulla vita anche estrema di donne che amano troppo, le cui tematiche necessitano di un supporto professionalmente qualificato per trovare risoluzione, io credo che ognuno di noi possa rintracciarvi almeno in parte storie note.

Per questo è un libro zeppo di spunti utili alla riflessione, per poter cominciare a considerare la propria o altrui situazione sotto una luce differente, in modo da essere in grado di valutare (o suggerire) una qualità alternativa di vita e di relazione, ed ampliare quindi la sfera delle possibilità di divenire pienamente realizzati.

Le vie per affrontare questo cambiamento sono molteplici e passano attraverso la scelta sul supporto che si decide di chiedere. Questa deve tenere conto della gravità della situazione e delle sue caratteristiche, perché professionisti e gruppi d’aiuto variano nella loro competenza d’azione e dunque nelle possibilità di successo di un percorso di guarigione e cambiamento.

Il supporto psicologico e il coaching possono rappresentare un prezioso supporto in un viaggio di esplorazione e sviluppo, anche radicale e profondo, purché non sussistano delle condizioni gravemente patologiche che devono essere debitamente affrontate con specialisti di differente competenza. Qui qualche info su come io potrei aiutarti (o aiutare chi ti sta a cuore).

Ciò che posso affermare con assoluta certezza, è che cambiare si può.

Rivedere le nostre dinamiche e funzionamenti impatta le nostre relazioni e le nostre convinzioni su noi stesse, rivoluziona i nostri schemi e migliora esponenzialmente la qualità della nostra vita.

Non è un viaggio indolore, né immediato o privo di ostacoli. Ma la meta ripaga di tutte le fatiche: trasformarsi in donne che amano e sono amate.

Per questo io ho scelto di mettermi al servizio degli/le altrə. Io questo cammino lo ho affrontato personalmente, continuo a percorrerlo con dedizione, e ho la meravigliosa opportunità di accompagnare altre persone a fare lo stesso.

Se ciò che hai letto ti risuona…sappi che io posso aiutarti. 

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